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Di immagine e di dignità

Posted by fadette [OPS] su 31/01/11

Sul Corriere della Sera, un editorialista scriveva, poche settimane fa: «Una donna che sia consapevole di essere seduta sulla propria fortuna e ne faccia –diciamo così– partecipe chi può concretarla non è automaticamente una prostituta. Il mondo è pieno di ragazze che si concedono al professore per goderne l’indulgenza all’esame o al capo ufficio per fare carriera. Avere trasformato in prostitute –dopo averne intercettato le telefonate e fatto perquisire le abitazioni– le ragazze che frequentavano casa Berlusconi, non è stata (solo) un’operazione giudiziaria, bensì (anche) una violazione della dignità di donne la cui sola colpa era quella di aver fatto, eventualmente, uso del proprio corpo».

Giocare con le parole non sempre aiuta. Queste donne che «sono sedute sulla loro fortuna» e «ne rendono partecipe chi può concretarla» non sono state trasformate in prostitute dai giudici che le indagano, bensì dal professore che regala loro l’esame in cambio dei loro favori, dal capoufficio che regala loro la carriera, dall’uomo che in qualsiasi modo o forma le compra. Quel concretare la fortuna su cui si è sedute ricorda troppo le arrampicate sugli specchi cui si sono abbandonati i membri meno degni –da un punto di vista religioso– della Compagnia di Gesù quando dovevano giustificare a tutti i costi i comportamenti dei regnanti dell’epoca. Diciamolo in altre parole, meno elaborate: «avete un bel culo, usatelo per ottenere quello che volete, anche se non vi spetta, anche se spetterebbe ad altri che hanno studiato per passare l’esame, che hanno lavorato come muli per fare carriera. Tanto non è prostituzione». Ed invece lo è. Lo è perché chi scrive, chi pensa queste cose, senza rendersene conto, sta dicendo alle donne che se han un bel culo non importa che abbiano cervello, intelligenza, talento. Che prendere una laurea con un bel voto conta meno di quanto non conti saper vendere il proprio corpo, in un paese in cui le donne che studiano, con dottorati di ricerca, specializzazioni, titoli, sono spesso ridotte a lavori dequalificati da meno di mille euro al mese, mentre se avessero pensato di offrirsi a chi di dovere (sempre se belle) avrebbero guadagnato in un mese quel che ora vedono in un anno. Non è questo il paese che voglio mostrare a mia figlia. E pazienza se sono moralista, perbenista. Se penso ancora che donne ed uomini debbano avere pari opportunità, che vendere il proprio corpo o la propria anima, per entrambi i sessi, non sia una vera opportunità.

Ed è ancora peggio se un discorso del genere viene fatto a chi ritiene di non avere altro che il proprio culo per sopravvivere, chi non ha famiglia, né sostegno affettivo, emotivo, chi non ha mai avuto qualcuno che da bambina la forzasse a fare i compiti e le leggesse libri per addormentarla. L’Italia è piena di ragazzine prive di tutto, di autostima prima che di altro. Con quale forza si continuerà ad andare nei quartieri degradati, nelle case-famiglia per minori, per dire a delle graziose adolescenti di sedici, diciassette anni, ma anche a belle giovani donne di diciotto o vent’anni, di lottare per prendere un diploma che (forse) le porterà ad una borsa lavoro di cinquecento euro al mese, quando l’alternativa sono migliaia di euro in regali? E per cosa poi ? Solo per aver “fatto uso del proprio corpo” (eventualmente). Il guaio è che il prezzo è un po’ più alto. E riguarda una dignità che non è di un paese, ma è la propria, quella individuale, quella che viene calpestata da una compravendita, e che non si recupera poi facilmente. Certo, basterebbe che “l’offrire a chi può concretarla, la fortuna su cui si è sedute” non venisse più chiamata prostituzione. Se non la chiami così, se non la nomini proprio, non esiste. Non esiste per le donne giovani e belle, non esiste per i parlamentari la cui fortuna risiedeva nel proprio scranno a Montecitorio da offrire il giorno della fiducia ad un premier in difficoltà, ad un ministro che lascia distruggere per incuria una bellezza che perfino un vulcano ha risparmiato congelandola nel tempo. Per un paese dove troppa gente sta dicendo che tutto questo è normale. Salvo poi lamentarsi se qualcuno che ha un corpo più bello, un parente più importante, un potere di scambio maggiore ottiene quello che si sperava per sé. O per il proprio figlio, marito, amico. E parlare brutalmente di codici etici, e di puttane.

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A Piero Ostellino

Posted by aggelos [OPS] su 30/01/11

Piero Ostellino dice di sé di essere un liberale scomodo. Se il sostantivo può magari essere contestato, è invece difficile non riconoscere l’aggettivo a taluni suoi commenti. In particolare ha fatto scalpore quello, pubblicato sul Corriere della Sera di qualche giorno fa, in cui parlando de «l’immagine e della dignità del Paese», ha concluso delle considerazioni che condivido con una difesa delle ragazze coinvolte nell’inchiesta dalla «barbarie» di un epiteto per «la […] sola colpa […] di aver fatto, eventualmente, uso del proprio corpo». L’articolo seguiva uno dedicato alla privacy dei frequentatori del Presidente del Consiglio, alle «libertà individuali» di chi entra in contatto con lui; sono preoccupazioni squisitamente libertarie che mancano del tutto il punto che se fosse pubblicato l’elenco delle telefonate di Obama o di Cameron, e vi fossero un sacco di donne, dei primi e delle seconde non si penserebbe che l’oggetto delle telefonate è sessuale. Di Berlusconi, si. E questo non per preconcetto, ma per le risultanze dell’inchiesta che, come Ostellino, spero anch’io vengano dibattute nell’unica sede legittima, il Tribunale, quello comune. Insomma, non è il giornalista parlandone a fare di qualcuno un ladro, ma l’azione del furto. E qui di azioni ce n’è a sufficienza per giudizi, come riconosce Ostellino, potenzialmente «devastanti».

Ostellino ha controreplicato dipoi citando Machiavelli, Bobbio e Croce, e la differenza fra essere e dover essere. Insomma, l’ha buttata in filosofia. ed a questo punto la risposta diventa necessaria, e dev’essere il più possibile precisa.

L’argomento di Ostellino può essere ridotto (mi corregga se sbaglio) al fatto che l’essere deve essere preferito al dover essere, e che nell’essere, da che mondo è mondo, in tanti si comportano in questo modo. Insomma, chiudiamo un occhio sul caso Berlusconi perché il comportamento è n uso; smettiamo di parlar di B. per parlare di un sistema.

Ora, anche per Machiavelli, Spinoza ed Hegel, i massimi filosofi della razionalità dell’essere, il fatto che esistano i ladri non toglie senso alla legge che punisce il furto; fuor di metafora, il comportamento di quelle donne potrà anche essere comune, può però non essere né normale né legale. Non parlo qui di moralità, alla maniera di Kant («se fosse morale, allora tutte dovrebbero farlo») perché Ostellino parla di legalità e non di moralità. Non parlo di moralità, per la quale sarei anche indulgente verso B. ed i suoi piaceri, ma di legislazione. Ora, se il principio della legislazione è l’utilità collettiva non della singola norma ma del complesso di norme (definizione accettabile per un liberale quale Stuart Mill), io sostengo che il fatto che «da che mondo è mondo, se si dovessero pubblicare le generalità di uomini e di donne dediti a certi esercizi non basterebbero le pagine degli elenchi telefonici», il fatto che «Il mondo» sia «pieno di ragazze che si concedono al professore per goderne l’indulgenza all’esame» non può essere legale se non riguarda soltanto due individui maggiorenni e consenzienti, ma anche individui terzi, danneggiati dalla pratica, la cui tutela aumenta l’output del sistema, e giustifica dunque filosoficamente la condanna legale (e non morale). In altri termini: se sono donna, e la mia collega, concedendosi, fa carriera, sono danneggiata io che ho titoli migliori (nel senso che interessano la collettività, e non il vecchio sporcaccione per 10-20 minuti), sono danneggiata doppiamente perché a questo punto se il comportamento si diffonde diventa legittimo per il professore pensare che se le altre, per andare avanti, ci stanno, allora non si vede perché io non ci debba stare, ed infine viene danneggiata la collettività, visto che magari diventa medico chi ha, come unico titolo, fatto sesso un certo numero di volte con un certo numero di persone, e non chi sa curare.

Il discorso, sinteticamente, è quello del doping. Se uno si dopa va più forte; gli altri sono danneggiati nel senso che perdono, ed anche nel senso che se non si adeguano, continuano a perdere. Insomma, la loro libertà di non doparsi viene lesa in nome della libertà di qualcun altro di far fortuna usando doti diverse da quelle che andrebbero valutate nella corsa. Il discorso è quello della corruzione, dove se chi corrompe va avanti, chi merita per le proprie doti resta danneggiato, e con lui la collettività. E non ditemi che questo non danneggia l’immagine e la dignità di un Paese.

Insomma, se nel caso del doping il pubblico non subisce alcun danno, io chiedo a Piero Ostellino: lei sarebbe tranquillo se l’anestesista che l’addormenta prima di un’operazione chirurgica ha quel lavoro perché si è conquistata l’indulgenza del professore la sera prima dell’esame, un certo numero di volte? Mi risponda si, ed io non le crederò.

P.S.: e per favore, la prossima volta non tiri per la giacchetta un Machiavelli conosciuto scolasticamente (lei cita il Principe, non conosce i Discorsi), e più ancora un Bobbio ed un Croce, per difendere l’entourage del premier in questa sporca vicenda. Grazie. Sentitamente grazie.

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